Pesca con il palamito o palangaro: tutto ciò che devi sapere per farla bene

Nell’universo della pesca sportiva, esistono decine di tecniche praticate trasversalmente dagli appassionati di ogni paese del mondo. Dal popolarissimo spinning, passando per l’eging o ancora per il drifting, sono molti i pescatori di acqua salata che vogliono provare il brivido di catturare grandi pesci pelagici come tonni e pesci spada e che si mettono quindi sulle loro tracce. 

Oltre al già citato drifting, esiste un’alternativa per insidiare questi grandi predatori (ma non solo), ovvero la pesca con il palamito o palangaro. Ma di che si tratta? Nell’approfondimento di oggi, daremo un’occhiata a tutte le sue caratteristiche e a quali sono gli accorgimenti necessari per svolgerla al meglio. 

Siamo pronti? E allora iniziamo!

Pesca con il palamito: un’introduzione

Quando parliamo di pesca col palamito o palangaro, andiamo a toccare una disciplina che si basa sull’utilizzo di una lunga corda che presenta ami (massimo 200 per barca) disposti a intervalli regolari per tutta la sua lunghezza, detta appunto palamito o palangaro. Oltre alla lenza madre e agli ami, uno degli strumenti principali di questo tipo di pesca è rappresentato dalla coffa per riporre con ordine tutti i componenti del palamito evitando quindi fastidiosa confusione.

Considerando la voracità dei predatori che questa tecnica di pesca prende di mira, generalmente gli ami vengono innescati con esche di cui questi pesci sono ghiotti. Si tratta nello specifico il più delle volte di oloturie, patelle o strisce di calamaro, ma vedremo in seguito una lista più esaustiva. A ogni modo, la scelta varia a seconda del tipo di preda che si vuole catturare, sapendo che comunque la pesca con il palangaro può avvenire sotto costa, a medio fondale, ad alto fondale e in profondità, influenzando molto la stazza e la specie di pesce che a fine giornata possiamo ritrovarci in barca.

Fatta questa introduzione generale, approfondiamo adesso gli aspetti più specifici per cimentarsi con questa tecnica e, si spera, portarsi a casa delle belle soddisfazioni!

Approfondimento: come è fatto il palangaro? 

Abbiamo già accennato alle componenti del palamito, ma procediamo adesso con un approfondimento su tutti gli elementi che costituiscono questo “attrezzo”.

  1. Una lunga lenza madre, che viene stesa dietro la barca, viene solitamente realizzata con un sottile cavo in acciaio, trecciato o anche monofilo.
  2. I braccetti che partono a distanze regolari l’uno dall’altro dalla lenza madre, detti anche braccioli. La lunghezza dei braccioli, di solito, va dai 100 ai 300 centimetri (tranne dei palangari derivanti, in cui sono ancora più lunghi).
  3. Gli ami, fissati alla fine di ciascun bracciolo, che rappresentano l’effettivo componente cruciale nella cattura delle prede. La diversa misura degli ami impiegati varia a seconda della preda che cerchiamo di prendere.
  4. La coffa o cassetta, infine, rappresenta il contenitore dove ami, braccioli e la stessa lenza madre vengono deposti in maniera ordinata. 
Da non perdere:   Come scegliere la canna da spinning

Sviscerato il dettaglio delle specifiche dei vari componenti, vediamo qualche dettaglio ulteriore sull’applicazione pratica della tecnica.

Pesca col palangaro: le fasi del processo

Generalmente, la pesca col palangaro richiede una certa perizia ed esperienza per ottenere buoni risultati, ma indipendentemente dal livello di perizia di chi la pratica, si tratta di una tecnica che non può prescindere da un’abbondante dose di pazienza.

Solitamente, infatti, il palamito viene calato in acqua diverse ore prima del recupero, il più delle volte anche con un intero giorno di anticipo. Si tratta di un processo laborioso, che consiste in diverse fasi da svolgere senza fretta per non compromettere il risultato finale e l’integrità dello stesso strumento: immaginate che lavoraccio, districare tutti quegli spezzoni di lenza più sottile se si ingarbugliassero!

In ogni caso, solitamente il processo consiste in una fase di innesco, che prosegue poi con la calata in acqua. Atteso il tempo necessario, si recupera il palamito e si slamano i pesci catturati per poi pulire gli ami utilizzati e immagazzinare l’attrezzatura in buon ordine.

Cosa si può catturare nella pesca con il palangaro?

La prima domanda da porci prima di iniziare una battuta di pesca col palamito riguarda gli inneschi, Quali esche utilizzare? 

Solitamente, è possibile servirsi di succulenti bocconcini come seppie, totani, boghe e cozze, ma come qualsiasi pescatore con un minimo di esperienza confermerà, sono i pesci vivi a dare maggiori soddisfazioni, in particolare la sempre verde sardina. Nello specifico, esche tanto fresche da muoversi ancora potrebbero rappresentare la manna dal cielo per cernie, ricciole e dentici, ma potrebbe lasciare le orate relativamente indifferenti.

In base al tipo di palamito, comunque, è possibile insidiare anche prede diverse dai “soliti” pesci spada o tonni rossi. Il palangaro di fondo, per esempio, consente di catturare palombi, rane pescatrici, naselli, scorfani, saraghi e tanti altri pesci che sono soliti starsene nei livelli più bassi e profondi dell’ambiente marino. Il palangaro derivante, invece, è perfetto per andare ad attirare l’attenzione e catturare i grossi predatori pelagici. Tonni, pesci spada e alalunghe, attenti a voi!

Il vantaggio di questa tecnica di pesca, comunque, consiste proprio nella capacità di selezionare il tipo di preda che ci interessa insidiare grazie alle dimensioni degli ami e alla lunghezza dei braccioli. La pesca con il palangaro infatti è piuttosto precisa sebbene questo possa sembrare controintuitivo, e consente di evitare catture di specie indesiderate come delfini e squali. 

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Scritto da
Luigi Oriani
Luigi Oriani
Nato a Milano nel 1992, la pianura che circonda la sua città non gli impedisce di sviluppare una grande passione per il mare. Chiedetegli di descrivere il suo momento ideale e vi parlerà di un tramonto in barca, sorseggiando un bicchiere di bianco nella baia di Corfù mentre il pesce sfrigola sulla griglia.

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