Italia, breve storia di sbarchi e migranti

La nave Aquarius, dell’organizzazione non governativa di “Medici senza frontiere”, trasportava 629 migranti. Lo scorso 10 giugno, dopo aver toccato le acque italiane, il ministro dell’Interno e vice-presidente del consiglio Matteo Salvini le ha negato l’autorizzazione di attraccare in uno dei porti del Belpaese. Il governo maltese ha rifiutato di accogliere l’imbarcazione, mentre quello spagnolo ha concesso accoglienza nel porto di Valencia. Per motivi politici, il caso Aquarius continua a far litigare. Macron, presidente della Repubblica francese, ha accusato di cinismo il governo italiano e ha rischiato di far saltare l’incontro diplomatico con il capo del governo italiano Conte. Alla fine si son visti e si sono scambiati frasi di cortesia. Il caso Aquarius è uno dei tanti casi di umanità in fuga che hanno riempito la storia italiana. Ma, da un punto di vista numerico, non è il più eclatante.

Era il 7 marzo 1991. Per molti quotidiani, la data ha rappresentato la più grande emergenza umanitaria affrontata dall’Italia. Il muro di Berlino era caduto il 9 novembre del 1989 e l’Unione Sovietica affrontava gli effetti dell’implosione. Le frontiere cominciavano a spalancarsi per chi voleva libertà, giustizia e lavoro. I regimi comunisti avevano impoverito il proletariato e circa 27.000 albanesi scappavano dalla madrepatria su decine di imbarcazioni, di grandi e piccole dimensioni. Brindisi diventava così la terra delle opportunità per gli albanesi, ma la situazione, visti i numeri, era al limite dell’ingestibile. La Capitaneria aveva bloccato innanzitutto le grandi barche, mentre il popolo pugliese mostrava al mondo tutta la propria ospitalità e portava cibo, acqua, coperte e sorrisi di conforto. Parrocchie e centri sociali diventavano rifugi. Attraverso la televisione commerciale, gli albanesi avevano iniziato a conoscere l’Italia del divertimento e della ricchezza. Due buoni motivi, oltre alla posizione geografica e alla crisi economica, per partire. Quel giorno ha cambiato per sempre i rapporti fra italiani e albanesi, che col tempo hanno rafforzato il proprio ruolo di comunità in Italia.

Passano cinque mesi e si arriva all’8 agosto. Gli albanesi ancora protagonisti di sbarchi. La nave Vlora ne trasportava più di ventimila, che come i connazionali del recente passato stavano scappando dagli effetti della dittatura e della povertà. Il giorno prima, il mercantile tornava da Cuba carico di zucchero e fu costretto a virare verso l’Italia. Il comandante Halim Milaqi fece un primo tentativo di attracco al porto di Brindisi, ma fallì. Il secondo, al porto di Bari, andò meglio, anche fu costretto a fermarsi nel lontano Molo Carboni. L’estate complicava le operazioni di salvataggio e l’Italia sembrava impreparata ad affrontare l’emergenza. I fotografi presenti al porto immortalarono persone che, sfiancate dal caldo, si buttarono in mare. Il molo si ridipingeva di nero per i gas di scarico. I pugliesi erano nuovamente solidali e donavano abiti asciutti, qualcosa da mangiare e da bere. Ci furono profughi che scapparono in città, si nascosero nelle parrocchie e altri che vennero ospitati nello “Stadio della Vittoria”, diventato più capiente dopo i mondiali di calcio del 1990. Quel popolo che emigrò in Germania, in Sud America e negli Stati Uniti si ritrovava ad accogliere i flussi migratori pure degli anni zero.

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Dopo il blocco del ministro Salvini subito dall’Aquarius, è da poco arrivata al porto di Catania la nave “Diciotti” della Guardia costiera. 932 migranti hanno toccato il suolo siciliano, due i cadaveri di un ragazzo e una ragazza somali, quattro donne incinte e un minorenne sono già stati trasportati in elicottero negli ospedali di Palermo e Agrigento, prima dello sbarco catanese. Emergency e la Croce Rossa stanno lavorando per soccorrere i migranti. Questo sbarco a Catania è il frutto di sette operazioni della Guardia costiera vicine alle coste della Libia, uno degli stati nordafricani che più ha patito la mancanza di stabilità dopo la caduta dell’ex presidente Gheddafi. Eppure, la rivoluzione denominata “Primavera araba” aveva fatto sperare sia la popolazione locale che gli idealisti occidentali.

La vita però, è fatta pure di incubi ad occhi aperti, come “La tragedia di Lampedusa”. Così, la stampa italiana ha rinominato il naufragio e la morte di 368 migranti, avvenuta il 3 ottobre del 2013 a Lampedusa, Sicilia. Hanno perso la vita soprattutto africani di origine eritrea. 155 è il numero dei superstiti. A poca distanza dall’Isola dei Conigli, il blocco dei motori. Qualcuno incendia una coperta per chiedere aiuto, ma la paura del fuoco fa correre tutti da una parte e ribaltare l’imbarcazione libica. Con i primi pescherecci che si accorgono della situazione iniziano i soccorsi. Dal 2016, il 3 ottobre è la “Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione”. Studenti provenienti dall’Italia, dalla Spagna e da Malta incontrano i superstiti e ascoltano le loro testimonianze. Lampedusa è suo malgrado cimitero di migranti, ma anche luogo di scambio. La società civile, in preda alle emozioni, chiede alla politica di evitare altri funerali, ma la risoluzione del problema tarda ad arrivare.

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