Chiacchiere in banchina con Alessandro Altea

Oggi per le nostre chiacchiere in banchina abbiamo incontrato Alessandro Altea, anche se è più un tipo di poche parole, dette al momento giusto e senza tanti fronzoli: soggetto, predicato e complemento.

“Solo quello che serve e quando serve”.

Alessandro è un ingegnere, responsabile di stabilimento di un’azienda italiana che opera nel settore della metalmeccanica e, a tradire i suoi 43 anni, sono solo i capelli brizzolati.

Nato a Sassari e cresciuto a Porto Torres, ancora prima di imparare a camminare sapeva già stare al timone di una barca a vela, grazie anche alla fortuna di avere a portata di mano un mare generoso di bellezza e di vento come quello della Sardegna, ma soprattutto ad una passione per la navigazione trasmessagli dal padre.

“Avevo circa 6 anni quando mio padre acquistò un meteor, un piccolo cabinato di 6 metri, a bordo del quale trascorrevamo a Stintino tutti i fine settimana”.

Alessandro inizia così a capire che il mare è qualcosa di più che una semplice passione, tanto che, anche nella sua vita privata, questo elemento ha un ruolo importante.

“Mia moglie lavora nel mondo della nautica. Mi sono innamorato di lei quando l’ho vista prendere una mano di terzaroli in barca. Eravamo in mezzo all’Adriatico ed era arrivata una botta di bora. Io sono andato all’albero e lei era alle drizze. Non abbiamo avuto bisogno di parlare ed eravamo perfettamente coordinati. Era la donna perfetta per me, anche se qualche tempo dopo ha sbagliato la gassa della scotta del genoa per ben due volte di seguito”.

La barca a vela e soprattutto navigare sono anche un modo per esprimersi e per soddisfare quella sua continua ricerca di forti emozioni e di adrenalina pura. Sì, perché il suo peggior nemico è la noia.

Alessandro, in mare tu puoi?

Sentirmi libero.

Perché?

Perché non ci sono strade, non ci sono cartelli e decide il vento.

E decidi tu.

Anche.

Per questo quando tutti rientravano in porto, tu eri l’unico ad armare la barca e ad uscire?

Tieni presente due cose: primo che ai tempi dell’università vivevo a Pisa e avevo poco tempo per uscire con la mia barca, un J24 che tenevo in Sardegna, e quindi dovevo approfittare di ogni momento. Seconda cosa, una barca come quella fino a 20 nodi può navigare con tutta la tela a riva.

L’incontro più strano che ti è capitato di fare in banchina?

Incontro più stano? Forse il più particolare. Ero al porto turistico di Porto Torres quando vidi arrivare un ragazzo tedesco con una grande sacca nera. Enorme sul serio. Si fermò sul pontile, aprì la sacca e tirò fuori un kayak da montare, con il quale avrebbe fatto il giro della Sardegna. Lui non parlava una sola parola d’italiano o di inglese ed io, ovviamente, non parlavo tedesco. Ma con una carta nautica alla mano ci siamo capiti e gli consigliai qualche caletta per ridossarsi in caso di maltempo.

E Simone Bianchetti?

Con Bianchetti fu una cosa particolare. Ero sempre a Porto Torres e dopo una notte passata alla finestra ad ascoltare il vento, per una maestralata molto forte, la mattina dopo presi la bicicletta per andare a vedere la mia barca. Scendendo da una via che guarda il porto dall’alto, vidi un albero ed uno scafo che avevo visto sulle riviste. Era la barca di Simone Bianchetti e così lo raggiunsi sul pontile. Lui stava cercando di sistemare quello che gli rimaneva della randa, letteralmente esplosa durante la maestralata della notte precedente. Mi offrì di aiutarlo, ma fu di poche parole e anche poco socievole.

Hai mai avuto paura in mare?

Paura intesa come pericolo per la propria vita, no. Disagio, sì. Inteso come situazione difficile, dove devi dare il massimo per riportare la barca e l’equipaggio in porto. Grazie a questo disagio, i sensi sono amplificati e questo è fondamentale per prevenire gli errori, piuttosto che per pagarne le conseguenze. Trovo che sia un atteggiamento normale sia in mare che nella vita di tutti i giorni.

Da non perdere:   Guida alla scelta di una barca a vela per principianti

Qual è stato il tuo percorso di formazione come velista?

Sono cresciuto saltando a bordo di tantissime barche, ma la mia vera formazione si è affinata a bordo del mio J24, Vispa Teresa, partecipando alle regate di classe. E’ fondamentale potersi confrontare su un campo di regata dove le barche hanno stesse caratteristiche. I monotipi resteranno sempre la migliore scuola sportiva. Facevo anche parte di un equipaggio, a bordo di un X 312, Bellatrix, con il quale partecipavamo alle regate in Mediterraneo. Eravamo molto affiatati ed avendo poco tempo organizzavamo degli allenamenti un po’ fuori dall’ordinario. Una volta, per prepararci alla Giraglia, abbiamo fatto Alghero-Baleari e ritorno, circa 500 miglia no stop. A bordo eravamo quasi tutti ingegneri, quindi tutto era ben organizzato, anche la cambusa, dove non mancavano mai i cannelloni ed il vino. In mare bisogna trattarsi bene. (Finalmente ride). Per un periodo ho anche fatto lo skipper e l’istruttore di vela, insomma, ogni occasione era buona per mollare gli ormeggi.

Chi è il tuo mito della vela?

Eric Tabarly, e non per le sue imprese sportive, ma per l’atteggiamento con cui navigava. Era un militare che andava per mare. Nel suo libro “Vittoria in solitario”, che ormai ho consumato, racconta che prima di andare a dormire, in navigazione, si cambiava e si metteva il pigiama. Capisci? A bordo aveva disciplina, prima di tutto con se stesso e con la barca. Lo ritengo un modo giusto di guardare alla vita: con disciplina.

Qual è il tuo ricordo più bello in mare?

(Finalmente sembra sciogliersi e questa volta sorride veramente…) In realtà non è quello più bello ma quello che ricordo con più affetto (…anche se le precisazioni sono il filo conduttore di questa intervista). E’ stato quando sono andato a prendere la Vispa, il mio J24. Era ormeggiato ad Olbia e lo dovevo portare a Porto Torres. Chiaramente, come tutte le mie navigazioni, anche quella volta non mancò il vento. A volte penso di chiamarlo. Usciti infatti dal golfo di Olbia incontrammo 25 nodi di grecale. Poco male, si potrebbe pensare, ma dopo la sosta a Santa Teresa per la notte, il giorno dopo quei 25 nodi diventarono 35. Ci mettemmo in mare ugualmente e la barca si comportò in modo impeccabile, come le persone che erano con me, amici di cui mi fidavo e con i quali navigavo da tempo. Ricordo perfettamente quelle miglia percorse con l’emozione di essere al timone di una barca che avevo desiderato per tanto tempo. Abbiamo fatto delle planate meravigliose, toccando punte di 12 nodi al lasco.

Sono queste esperienze che rendono viva la passione che Alessandro Altea ha per il mare, dove il rispetto e l’esperienza gli hanno permesso tanto, come quando ha circumnavigato, in doppio e no-stop, la Corsica con la sua Vispa.

Alessandro al timone. Foto – Massimo Morri

Alessandro è un uomo determinato, concreto e pragmatico, ed il mare è quell’ambiente dove finalmente può ritrovare una libertà fisica, mentale e, perché no, anche emozionale.

L’intervista si chiude con una lunga, animata e colorita discussione su una domanda che secondo lui è stata formulata in modo sbagliato, ma in fondo questo è normale tra marito e moglie.

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Scritto da
Laura Doria
Laura Doria
Mi chiamo Laura Doria e sono nata al mare, quindi raccontare storie ed incontrare i personaggi del mondo della nautica è qualcosa di naturale per me. Perché è sempre un grande privilegio scrivere della passione che punta la prua verso i grandi orizzonti blu.

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